Esattamente 53 anni fa, nei giorni tra il 15 e il 28 ottobre del 1962 , l’umanità si trovò ad un passo dalla catastrofe termonucleare, alla tanto temuta III Guerra Mondiale tra Est e Ovest, tra URSS e USA, tra Patto di Varsavia e NATO. A rischiare di accendere la miccia, il posizionamento, da parte di Mosca, di alcuni missili a testata nucleare a Cuba, nazione da poco entrata nell’orbita socialista. Ma come andarono veramente le cose? E perché, alla fine, prevalse il buon senso? Ed è possibile che oggi, con il ritorno delle tensioni tra Mosca e Washington, il genere umano si avvicini nuovamente all’apocalisse atomica? Ne abbiamo parlato con lo storico Leonardo Campus, dottore di ricerca in Storia Contemporanea presso La Sapienza di Roma e autore del saggio “I sei giorni che sconvolsero il mondo”.
-Perché un libro sulla CMC*?
-Per vari motivi. Anzitutto è un evento cruciale del Novecento, punto di svolta sia della Guerra fredda che dell’era nucleare tuttora aperta. Poi perché credo abbia ancora molto da rivelarci, sia come evento sia per le reazioni che scatenò, anche dal punto di vista socio-culturale: un aspetto, quest’ultimo, che finora era stato trascurato e che invece io credo diverrà la prossima frontiera degli studi internazionali sulla CMC. Fin dal principio io ero convinto che studiare la crisi di Cuba da questo diverso punto di vista si sarebbe rivelato interessante. E la documentazione raccolta in queste 7 anni di ricerche mi pare lo confermi. E’ un sentiero di ricerca che presto verrà percorso da altri studiosi in vari Paesi, credo. Infine c’è da dire che in Italia la CMC è un evento ancora poco conosciuto dalla gente comune, tanto che spesso viene scambiato con la Baia dei Porci. Perciò è importante approfondirne e diffonderne la conoscenza.
-Ma che cosa fu la CMC? Si arrivò sul serio ad un passo dalla guerra?
-Sì, ci andammo davvero vicini, più di quanto la gente comune e perfino gli stessi leader sapessero all’epoca. Nel libro racconto diversi episodi che lo dimostrano in modo inquietante. Il grande storico americano Schlesinger l’ha definita “il momento più pericoloso in tutta la storia umana”. Io aggiungerei che la CMC va vista anche come “un’esperienza globale”. Trovarsi per alcuni giorni concretamente sull’orlo di una guerra termonucleare mondiale era un’esperienza che il mondo non aveva mai attraversato prima d’allora, e fortunatamente neanche dopo. Ecco allora che diventa importante ricostruire gli impatti di quest’esperienza.
-All’epoca le due superpotenze e i due emisferi ideologici di riferimento dettero l’uno la colpa all’altro. Qual è la sua opinione di storico?
-Potrei risponderle in almeno due modi, compatibili tra loro. Primo: La ‘colpa’, come lei la chiama, fu di entrambi i leader. La mossa di Kruscev di piazzare missili a Cuba infatti era astuta e perfettamente legale, ma anche molto provocatoria, specie per la maniera subdola in cui la attuò. Così quando Kennedy la scoprì, si sentì ingannato e in un certo senso costretto a reagire con una certa fermezza, anche per evitare ulteriori guai su Berlino che erano già nell’aria. Ma anche JFK aveva provocato quella mossa in difesa di Cuba, con la tentata invasione della Baia dei Porci e poi con l’Operazione Mangusta, un’impresentabile programma di piani sovversivi e finanche terroristici per disfarsi del regime di Castro. Va detto, però, che una volta che la crisi scoppiò, entrambi i leader furono abbastanza saggi e coraggiosi da chiuderla prima che degenerasse definitivamente. In secondo luogo, la CMC fu anche e soprattutto il prodotto della corsa agli armamenti e della logica di ostilità viscerale che in quella fase animava i due blocchi. Era una clima in continuo surriscaldamento, che in un certo senso non poteva che sfociare in una crisi, prima o poi.
-Si è molto dibattuto sul ruolo di John F.Kennedy nella gestione della crisi. Chi lo accusò di eccessiva accondiscendenza verso Mosca (per questo, la CMC è stata anche associata ai fatti di Dallas) e chi di troppa durezza. Lei come la vede?
-Fu Kennedy a trasformare la scoperta dei missili in una clamorosa ‘prova di forza’ pubblica, con tutti i rischi che ciò comportava. Quindi accondiscendente o arrendevole non fu di certo, semmai un po’ arrischiato, pur con tutte le ‘attenuanti’ del caso. Dopodiché, però, mostrò flessibilità e prudenza nella gestione di quella prova di forza, dando al suo avversario il tempo e modo di ritirarsi dal ‘braccio di ferro’ e concedendogli, in cambio, più di quanto ammise in pubblico e più di quanto volessero molti suoi consiglieri. Inoltre non approfittò del ‘pretesto’ offertogli dai missili per invadere Cuba.
-Se si fosse arrivati allo scontro armato, crede che qualcuno avrebbe davvero premuto il pulsante?
-Le guerre scoppiano spesso così, per l’illusione di avere la situazione sotto controllo, di poterle gestire, di ‘limitarle’ ai piani predisposti a tavolino. Ma dalla guerra convenzionale a quella nucleare il passo poteva diventare sorprendentemente breve, per motivi di prestigio nazionale, di rappresaglia, di errori nella catena di comando, o semplicemente “perchè questa è la logica della guerra”, come Kruscev ricordò a Kennedy in un messaggio segreto di quei giorni. Del resto andate a leggere cosa propose Castro a Kruscev il 27 ottobre. O cosa successe quello stesso giorno a bordo di uno dei sottomarini sovietici …
-Dopo la distensione dell’era gorbiacioviano-yeltisaniana, i rapporti tra USA e Russia sono tornati in una una fase di forte attrito: secondo lei oggi potrebbe ripresentarsi un rischio come quello che il mondo corse nel 1962?
-Le condizioni sono diverse, la guerra fredda è finita e la contrapposizione ideologica tra USA e Russia non è neanche paragonabile. Ciò non toglie che il rischio nucleare non sia affatto scomparso, benché sia percepito meno dall’opinione pubblica. All’epoca erano solo 3 gli stati in possesso di armi atomiche, ora sono 9. E le cose possono accadere anche per errore. Finchè non avremo trovato il modo di liberarci di questi ordigni o di affidarli a un qualche organismo sovranazionale, il rischio ci sarà sempre.
*Crisi dei missili di Cuba