Nella giornata di ieri 9 marzo un’associazione ha ritenuto opportuno pubblicare un post su Facebook, poi ripreso anche da WhatsApp, in cui si “invitava caldamente” chiunque fosse stato al circolo la “Chicca del Candia”, a partire dal 14 febbraio, a contattare il numero verde istituito per le emergenze covid-19;
Come immaginabile il predetto post è stato condiviso in centinaia e centinaia di pagine.
Con tale comportamento l’associazione in questione si è arrogata il “diritto” di ritenere opportune opzioni di comunicazione sanitaria che non erano state deputate né utili né necessarie dalle competenti autorità istituzionali.
Aver postato un messaggio del genere, richiedendone la condivisione, in quanto “notizia verificata con gli uffici competenti”, ha fatto passare l’idea che fossero le stesse strutture pubbliche (Usl) ad averne richiesto la diffusione.
Tale comportamento imprudente non solo non ha avuto alcuna utilità sanitaria, ma ha avuto l’unico effetto, certo, di creare una “gogna mediatica” nei confronti del locale e della titolare la quale è stata, conseguentemente, surrettiziamente accusata di aver tenuto il locale aperto dal 14 febbraio nonostante un caso accertato di covid-19.
Stamani, a seguito ed in conseguenza del post di ieri dell’associazione, due nuovi post di esponenti pubblici, hanno accusato l’Usl di aver lasciato aperto il locale in questione nonostante un caso accertato di covid-19;
Quanto sopra, oltre ad aver ridato ossigeno ad un focolaio che faticosamente ed autonomamente si stava spegnendo, non solo è errato ma è scientemente falso, in quanto il locale è stato chiuso dalla titolare non appena ha avuto il semplice timore che si fosse verificato un contagio da covid-19 e quindi ancor prima di venir a conoscenza della positività del tampone.
I due post in questione, assieme a quello del giorno precedente, hanno insinuato nell’immaginario collettivo che la titolare del locale abbia tenuto aperto un ristorante nella consapevolezza della malattia di una consanguinea, e che ciò sia stato, in maniera scellerata, avallato dagli Enti Istituzionali che avevano accertato il caso.
Senza dover e voler prendere le difese di enti pubblici i quali valuteranno se e come rispondere, si evidenzia che il locale la “ Chicca del Candia” non è mai rimasto aperto dopo aver conosciuto la situazione di contagio, la quale è stata appurata solo nel pomeriggio del 07 marzo;
la titolare, quindi, ha pedissequamente seguito ciò che i protocolli medici prevedono e richiedono, comunicando i dati di chi poteva essere venuto a contatto con il soggetto positivo nell’arco di tempo necessario all’incubazione, come richiesto dagli operatori medici.
Non spetta a me trarre la morale da quanto sopra, ma ritengo opportuno evidenziare che il locale oggetto di “cattiva informazione” da lavoro a due famiglie, e se a causa di tali erronee e fuorvianti comunicazioni, che non hanno avuto alcuna utilità e/o funzione sanitaria, non sarà più così, qualcuno oltre a dover chiedere scusa, dovrà anche mettersi la mano sulla propria coscienza.
Avv. Manuccio Manucci