Dalla tragedia ferroviaria di Andria e Corato al sisma di qualche giorno fa, l’estate che sta volgendo al termine non è stata facile, per il nostro Paese. E proprio una tragedia ferroviaria, quella di Balvano del 1944, è l’argomento dell’intervista che abbiamo realizzato alla giornalista e scrittrice Patrizia Reso. Reso è autrice del libro “Senza ritorno. Balvano ’44, le vittime del treno della speranza” (Ed.Terra del Sole), un importante contributo per far luce su quella trite pagina della nostra storia. Una pagina forse girata troppo in fretta.
-Perché un libro sulla tragedia di Balvano?
In parte lo spiego nel libro. Nel corso di precedenti ricerche, dato che mi muovo anche tra archivi online, mi è capitato l’elenco, il primo, stilato da Mario Restaino, giornalista lucano. Si riferivano 521 vittime, in effetti sono molte di più. Ho avuto occasione di conoscere il capostazione di Baragiano, vivente e perfettamente in forma (Ugo Gentile), che all’epoca fu chiamato tra i primi soccorritori. Ebbe l’infausto compito di contare le vittime apponendo un cartellino alla caviglia, arrivò a 626, senza considerare quelle che furono tranciate del treno nella manovra di retromarcia. Quando ti trovi di fronte a un numero così esorbitante, non riesci più a ignorarlo. Poi leggi i nomi, l’età. E a quel punto li percepisci proprio come se li avessi conosciuti. Ho poi cercato i familiari delle vittime cavesi, sono entrata nelle loro case, alcune come 70 anni fa, compresi i rapporti con il vicinato e quindi i gruppi di allora, le stesse strade. Sono emozioni indicibili! La tragedia per la maggior parte di loro è iniziata il giorno dopo! Specie per i bambini rimasti orfani oppure per quelle famiglie che hanno perso tre-quattro componenti, figli. Quindi subentra la meraviglia della mancanza di una memoria sia locale sia nazionale, sia scritta sia orale. Sa che impressione ho avuto? Che siano stati loro a cercare la mia penna.
-Ma che cosa fu la tragedia di Balvano?
A mio avviso fu un’altra pagina delle storture e della violenza comportate da una guerra, quella in particolare. Una situazione anomala secondo un’ottica politica, in cui la percezione della vita acquista una dimensione diversa, anzi la morte si percepisce in modo diverso, più come evento fatalistico e quindi “più facilmente accettabile”. La tragedia si può comparare alle tante stragi del periodo, per le modalità: il numero delle vittime, la causa della partenza, la fretta che ha contrassegnato i soccorsi (gli alleati impedirono al medico condotto, dr. Pacella, di utilizzare tutte le fiale di adrenalina di dui disponeva (avrebbe potuto salvare altre 49 persone e questo è stato il suo cruccio fino alla morte, dichiarazione della figlia), le fosse comuni, la calce viva. Sono vittime civili di una guerra mai riconosciute!
-Quello del 3 marzo 1944 è, in un certo senso, un evento “dimenticato”, nonostante le sue terribili proporzioni. Fu la guerra ad oscurarlo oppure secondo lei c’è dell’altro?
-Fu decisamente la guerra e le responsabilità di chi governava. Erano gli alleati e non Badoglio, solo ufficialmente Badoglio, ma non aveva potere. Le responsabilità militari sull’acquisto del carbone avrebbero comportato risarcimenti iperbolici, in relazione al numero.
-Chi erano i passeggeri del treno 8017?
Erano persone comuni. Artigiani, lavoratori, artisti, militari, casalinghe. C’erano anche i marpioni e i delinquenti, per carità! Ma in una percentuale comprensibile e legittima. Non possiamo applicare la fallacia induttivista solo per alleggerirci la coscienza. E poi?! Se pure fossero stati tutti delinquenti, non erano ugualmente uomini?! Si disse anche che erano tutti clandestini: molti sì, anche il superstite rintracciato, ma moltissimi no, e se ne hanno le prove! iniziando dai coniugi Monti di Maiori che acquistarono il biglietto in una filiale di Salerno, quando il treno era merci e non passeggeri!
-Negli ultimi anni sembra si stia muovendo qualcosa sul fronte della memoria: libri, articoli, targhe. Quei 600 morti avranno mai almeno la giustizia del ricordo?
Me lo auguro di cuore! Che possano riposare in pace! In un Paese in cui il governo ha assicurato civile sepoltura a uno dei peggiori criminali nazisti (mi riferisco a Priebke e come è giusto che sia), questi corpi accatastati e prontamente tolti alla vista, gettandoli in fosse comuni, dovrebbero almeno essere ricordati, per quella forma di rispetto che non hanno avuto allora. Il ricordo è un fatto personale, emotivo. La memoria è collettiva. E’ la condivisione del ricordo. Paragono la memoria ad una farfalla: il ricordo è lo stato larvale, quindi la condivisione con parte della società consente la trasformazione in bruco, infine la condivisione delle istituzioni comporta il divenire memoria, farfalla e spiccare il volo! Siamo fatti di ricordi! siamo già alla nascita ciò che abbiamo percepito nei nove mesi di gestazione. Il ricordo, quindi la memoria è parte di noi e non possiamo ignorare ciò che siamo. Credo anche che ormai siani maturi i tempi per una lettura più obiettiva della storia, ma veritiera e reale.
-Balvano 1944, Puglia 2016: qualche analogia?
Ho già anticipato che non possiamo fare analogie, principalmente per il contesto, però un pensiero mi è venuto spontaneo quando ho letto delle responsabilità dei macchinisti. Il personale ferroviario è vittima due volte! Una prima volta perché ci ha rimesso la vita, una seconda volta è vittima del sistema! E’ molto più facile, e anche sempre per alleggerire la coscienza, trovare un caprio espiatorio piuttosto che ricercare le vere responsabilità. Abbiamo letto tutti del binario unico! Sa quando è stata elettrificata la linea Napoli-Potenza? Negli anni ’80! Anche il dr. Pacella per esempio fu vittima del sistema, pur non essendo tra le vittime di Balvano.
Nella foto: la galleria del disastro